Fredrich Brown (1906, Cincinnati; ivi, 1972) è un autore di racconti e romanzi fantascientifici, del mistero e polizieschi. Non molto apprezzato finché ancora in vita, Brown ha poi acquisito in questi ultimi decenni notevole popolarità. I suoi libri sono periodicamente ristampati sia negli Stati Uniti sia in Europa, soprattutto in Francia dove alcune sue novelle hanno conosciuto un adattamento cinematografico. Tra le sue opere principali ricordiamo Sangue nel vicolo (1947), Assurdo universo (1948), Il vagabondo dello spazio (1957).
Brown è considerato un maestro per il suo sapiente dosaggio degli ingredienti narrativi: i suoi racconti sono spesso brevissimi, dall’intreccio ingegnoso suggellato da un aprosdòketon. Una vena paradossale ed umoristica affiora in particolar modo nelle storie fantascientifiche in cui il punto di vista è ribaltato, in modo da creare un effetto di straniamento, ma anche per sovvertire un’ingenua e superbia visione antropocentrica. Si pensi al celebre racconto Sentinella, in cui, solo nell’epilogo, si scopre che il disgustoso alieno contro cui combatte il protagonista è un terrestre. I personaggi creati da Brown sono alle prese con situazioni assurde, inquietanti ed imponderabili che mettono alla prova la loro capacità di confrontarsi con l’imprevisto. Inutile ricordare che quasi sempre questi personaggi non sono in grado di affrontare le sfide della tecnologia, del destino e della vita.
Il racconto intitolato Questione di scala è emblematico del temperamento narrativo di Brown, della sua garbata ma disarmante ed amara ironia.
Nel deserto dell’Arizona sbarcano degli alieni con un’enorme astronave: sono esseri giganteschi, il cui corpo rarefatto penetra qualsiasi ostacolo. Gli extraterrestri non mostrano alcun interesse per gli uomini né desiderio di comunicare. Il governo allora invia contro di loro l’aviazione e l’esercito per distruggerli. Invano: gli invasori sono invulnerabili anche ad un ordigno nucleare.
In un giardino due sorelle nubili si accorgono che, all’avvicinarsi dei giganti il cielo, prima limpido, si offusca: gli ospiti non invitati, infatti, cominciano a spruzzare con un oggetto cilindrico una sostanza vaporosa che scende lentamente a coprire la Terra. Una delle due sorelle, Amanda, noncurante rispetto a ciò che sta avvenendo, irrora le rose del giardino con un insetticida, mentre l’altra donna, Macy, fiutando l’aria, si guarda attorno appena perplessa, forse un po’ impensierita.
La prospettiva esterna del breve testo mette a nudo la dabbenaggine delle sorelle che, di fronte ad una minaccia così grave, restano imperturbabili o quasi, a curare i fiori del giardino. Le donne incarnano la mentalità angusta e superficiale della middle class statunitense, incapace di vedere di là dal proprio naso, istupidita dai teleromanzi e dalle scenografiche dirette allestite dalle grandi reti statunitensi. Il narratore riporta le battute fatue delle donne, senza commenti, affinché risalti tutta la loro stolta fiducia, la loro folle calma.
Attraverso sequenze dal ritmo serrato, il campo lunghissimo che inquadra le sagome mostruose dei giganti sullo sfondo del cielo prima terso, poi annebbiato dalla misteriosa sostanza, la rapida ed icastica analessi con gli alieni che escono dal loro enorme vascello in una lunghissima fila, il campo e controcampo, Brown conferisce drammaticità alla narrazione. La drammaticità è accresciuta dalle dimensioni abnormi dei visitatori e della loro nave spaziale, cui si contrappongono i terrestri che tentano di contrastare l’invasione e gli insetti che brulicano sugli steli delle rose.
Tutto accade e precipita in poco tempo (Erano sbarcati una settimana prima): l’umanità sta per essere sterminata(1) e le due salottiere zitelle non se accorgono neppure. Con l’intuizione quasi profetica, che contraddistingue molti scrittori di fantascienza, la fine arriva con nuvole apparentemente innocue. Si chiede Amanda: “Che male ci possono fare con qualche nuvola? Non capisco perché la gente si preoccupi tanto”.
Già… che male ci possono fare con qualche nuvola… chimica?
(1) Di ciò non sembra dolersi l’autore e neanch’io.
Brown è considerato un maestro per il suo sapiente dosaggio degli ingredienti narrativi: i suoi racconti sono spesso brevissimi, dall’intreccio ingegnoso suggellato da un aprosdòketon. Una vena paradossale ed umoristica affiora in particolar modo nelle storie fantascientifiche in cui il punto di vista è ribaltato, in modo da creare un effetto di straniamento, ma anche per sovvertire un’ingenua e superbia visione antropocentrica. Si pensi al celebre racconto Sentinella, in cui, solo nell’epilogo, si scopre che il disgustoso alieno contro cui combatte il protagonista è un terrestre. I personaggi creati da Brown sono alle prese con situazioni assurde, inquietanti ed imponderabili che mettono alla prova la loro capacità di confrontarsi con l’imprevisto. Inutile ricordare che quasi sempre questi personaggi non sono in grado di affrontare le sfide della tecnologia, del destino e della vita.
Il racconto intitolato Questione di scala è emblematico del temperamento narrativo di Brown, della sua garbata ma disarmante ed amara ironia.
Nel deserto dell’Arizona sbarcano degli alieni con un’enorme astronave: sono esseri giganteschi, il cui corpo rarefatto penetra qualsiasi ostacolo. Gli extraterrestri non mostrano alcun interesse per gli uomini né desiderio di comunicare. Il governo allora invia contro di loro l’aviazione e l’esercito per distruggerli. Invano: gli invasori sono invulnerabili anche ad un ordigno nucleare.
In un giardino due sorelle nubili si accorgono che, all’avvicinarsi dei giganti il cielo, prima limpido, si offusca: gli ospiti non invitati, infatti, cominciano a spruzzare con un oggetto cilindrico una sostanza vaporosa che scende lentamente a coprire la Terra. Una delle due sorelle, Amanda, noncurante rispetto a ciò che sta avvenendo, irrora le rose del giardino con un insetticida, mentre l’altra donna, Macy, fiutando l’aria, si guarda attorno appena perplessa, forse un po’ impensierita.
La prospettiva esterna del breve testo mette a nudo la dabbenaggine delle sorelle che, di fronte ad una minaccia così grave, restano imperturbabili o quasi, a curare i fiori del giardino. Le donne incarnano la mentalità angusta e superficiale della middle class statunitense, incapace di vedere di là dal proprio naso, istupidita dai teleromanzi e dalle scenografiche dirette allestite dalle grandi reti statunitensi. Il narratore riporta le battute fatue delle donne, senza commenti, affinché risalti tutta la loro stolta fiducia, la loro folle calma.
Attraverso sequenze dal ritmo serrato, il campo lunghissimo che inquadra le sagome mostruose dei giganti sullo sfondo del cielo prima terso, poi annebbiato dalla misteriosa sostanza, la rapida ed icastica analessi con gli alieni che escono dal loro enorme vascello in una lunghissima fila, il campo e controcampo, Brown conferisce drammaticità alla narrazione. La drammaticità è accresciuta dalle dimensioni abnormi dei visitatori e della loro nave spaziale, cui si contrappongono i terrestri che tentano di contrastare l’invasione e gli insetti che brulicano sugli steli delle rose.
Tutto accade e precipita in poco tempo (Erano sbarcati una settimana prima): l’umanità sta per essere sterminata(1) e le due salottiere zitelle non se accorgono neppure. Con l’intuizione quasi profetica, che contraddistingue molti scrittori di fantascienza, la fine arriva con nuvole apparentemente innocue. Si chiede Amanda: “Che male ci possono fare con qualche nuvola? Non capisco perché la gente si preoccupi tanto”.
Già… che male ci possono fare con qualche nuvola… chimica?
(1) Di ciò non sembra dolersi l’autore e neanch’io.
La discarica dei deliri digitali di Paolo Attivissimo, farneticante e borioso grafomane "divulgatore informatico giornalista e cacciatore di bufale".
RispondiEliminaSe lo dice lui...
Nonché vigliacco incursore anonimo sui forum...
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