Il ragionamento enuclea due elementi: l'importanza del referaggio e la relazione tra comunità scientifica ed istituzioni. Il discorso sopra riportato, pur coerente all'apparenza, presenta dei lati deboli. In primo luogo, si basa sul presupposto generoso ma utopico che esista una scienza pura non condizionata da ipoteche ideologiche. Le teorie scientifiche sono sovente generalizzazioni propugnate per affermare una visione del mondo e non esatti rispecchiamenti del fenomeno: è palese la declinazione ideologica di molte teorie da cui sono scaturite scuole di pensiero, nuove discipline, modelli sociali... Si pensi al Darwinismo, una teoria errata che, però, continua ad avere il placet della scienza accademica. Si pensi alla teoria del Big bang, quasi certamente sbagliata, ma che gode ancora del sostegno acritico di molti cosmologi. Si pensi alla teoria della relatività che, pur avendo trovato alcune conferme, è minata da incongruenze concettuali e da non-sensi, come quello dello spazio vuoto che si curva. Dunque le teorie non sono descrizioni oggettive dei fenomeni, ma modelli interpretativi adottati non solo per la loro capacità di dar conto di una sezione del reale, ma perché aderenti allo Zeitgeist. Si consideri il Darwinismo che, con la sua insistenza sull'idea di evoluzione e di selezione, si incardinava nella società ottocentesca incentrata sui miti del progresso e della competizione.
In tale contesto, il referaggio non è più il logico, naturale, fatale coronamento di uno studio che possiede tutti i caratteri della scientificità, previa dimostrazione che il fenomeno esiste. Il referaggio è, per lo più, il frutto di un atteggiamento ideologico, ossia un'equipe di scienziati “indipendenti” dà il suo consenso alla ricerca, non se essa è accurata, metodologicamente corretta, ma se tale indagine non è giudicata lesiva di interessi di casta, se non mette in discussione consolidate (anche se erronee teorie), se non è dirompente per il sistema. La scienza, come entità astratta, non esiste: esistono scienziati. Alcuni sono liberi, altri, la maggior parte, sono collusi col sistema ed organici alle lobbies farmaceutiche e militari. Altri infine sono ricercatori onesti ma dalla mente programmata, incapace di ragionare in termini innovativi, sicché si limitano a compiere ricerche settoriali di cui non conoscono i veri fini, conosciuti, invece, da persone che non sono scienziati, come generali e politici. Gli scienziati liberi sono quasi sempre ignorati, vituperati, perseguitati. Le loro acquisizioni ed i loro risultati subiscono spesso l’ostracismo degli scienziati ortodossi.
In tale contesto, il referaggio non è più il logico, naturale, fatale coronamento di uno studio che possiede tutti i caratteri della scientificità, previa dimostrazione che il fenomeno esiste. Il referaggio è, per lo più, il frutto di un atteggiamento ideologico, ossia un'equipe di scienziati “indipendenti” dà il suo consenso alla ricerca, non se essa è accurata, metodologicamente corretta, ma se tale indagine non è giudicata lesiva di interessi di casta, se non mette in discussione consolidate (anche se erronee teorie), se non è dirompente per il sistema. La scienza, come entità astratta, non esiste: esistono scienziati. Alcuni sono liberi, altri, la maggior parte, sono collusi col sistema ed organici alle lobbies farmaceutiche e militari. Altri infine sono ricercatori onesti ma dalla mente programmata, incapace di ragionare in termini innovativi, sicché si limitano a compiere ricerche settoriali di cui non conoscono i veri fini, conosciuti, invece, da persone che non sono scienziati, come generali e politici. Gli scienziati liberi sono quasi sempre ignorati, vituperati, perseguitati. Le loro acquisizioni ed i loro risultati subiscono spesso l’ostracismo degli scienziati ortodossi.
E' poi ovvio che le istituzioni, in realtà comitati d'affari, non accetteranno mai delle ricerche che possano indebolirle o incrinarne la credibilità di fronte all’opinione pubblica. Inoltre è un'ingenuità considerare le istituzioni come destinatarie dei messaggi degli scienziati e come subalterne alla comunità dei ricercatori da cui attendono la verità. Le istituzioni pubbliche e private, infatti, finanziano le università, i centri di ricerca, assumono o licenziano gli scienziati, dirigono i settori di ricerca, orientano le sperimentazioni verso obiettivi non meramente teorici ma concretizzabili in ritrovati tecnologici ed in applicazioni commerciali.
Mi pare quindi che Cieliazzurri, pur in perfetta buona fede, sbagli direzione: non è la scienza che indirizza le istituzioni, ma sono le istituzioni che guidano la scienza, con condizionamenti più o meno pesanti, spesso di tipo ideologico: si pensi al caso estremo della scienza nazista cui fu affidato il compito di dimostrare l'evidenza scientifica che la razza ariana era superiore geneticamente alle altre o alla scienza sovietica che, adottando la dialettica hegeliana ed engelsiana, si atrofizzò in vani e ridicoli tentativi di applicare la logica del filosofo tedesco (tesi, antitesi, sintesi) ad ogni fenomeno naturale e sociale, finché gli accademici russi furono costretti ad abbandonare le linee hegeliane.
Il costante riferimento ad articoli referati mi pare poi quasi una reviviscenza dell'aristotelismo: una teoria scientifica è vera, un fenomeno è evidente, non se è stato osservato, sottoposto al vaglio della sperimentazione, esaminato in tutti i suoi aspetti, ma se una pubblicazione scientifica le conferisce ufficialità, nell'ambito di un atteggiamento di autoreferenzialità. E' pressappoco un ritorno all'Ipse dixit. La teoria è corretta, perché così è scritto nella rivista ed è riportata nella rivista perché è corretta. Chi ne ha stabilito la correttezza? Uno scienziato la cui indipendenza ed autonomia di giudizio è una condizione non verificabile, che bisogna accettare come un mistero della fede. Chi garantisce che quello scienziato è indipendente? Una commissione di scienziati indipendenti? Chi ci assicura che la commissione è indipendente? Un comitato indipendente? Chi ci ci garantisce che il comitato è indipendente? E così all'infinito...
Mi pare quindi che Cieliazzurri, pur in perfetta buona fede, sbagli direzione: non è la scienza che indirizza le istituzioni, ma sono le istituzioni che guidano la scienza, con condizionamenti più o meno pesanti, spesso di tipo ideologico: si pensi al caso estremo della scienza nazista cui fu affidato il compito di dimostrare l'evidenza scientifica che la razza ariana era superiore geneticamente alle altre o alla scienza sovietica che, adottando la dialettica hegeliana ed engelsiana, si atrofizzò in vani e ridicoli tentativi di applicare la logica del filosofo tedesco (tesi, antitesi, sintesi) ad ogni fenomeno naturale e sociale, finché gli accademici russi furono costretti ad abbandonare le linee hegeliane.
Il costante riferimento ad articoli referati mi pare poi quasi una reviviscenza dell'aristotelismo: una teoria scientifica è vera, un fenomeno è evidente, non se è stato osservato, sottoposto al vaglio della sperimentazione, esaminato in tutti i suoi aspetti, ma se una pubblicazione scientifica le conferisce ufficialità, nell'ambito di un atteggiamento di autoreferenzialità. E' pressappoco un ritorno all'Ipse dixit. La teoria è corretta, perché così è scritto nella rivista ed è riportata nella rivista perché è corretta. Chi ne ha stabilito la correttezza? Uno scienziato la cui indipendenza ed autonomia di giudizio è una condizione non verificabile, che bisogna accettare come un mistero della fede. Chi garantisce che quello scienziato è indipendente? Una commissione di scienziati indipendenti? Chi ci assicura che la commissione è indipendente? Un comitato indipendente? Chi ci ci garantisce che il comitato è indipendente? E così all'infinito...
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